3a conferenza nazionale sui problemi connessi alla diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotropi
La seconda giornata del convegno è cominciata con una bella relazione di Don Mario Picchi di cui riportiamo una parte in questa dizione.
ALLA TERZA CONFERENZA NAZIONALE SUI PROBLEMI CONNESSI ALLA DIFFUSIONE DELLE SOSTANZE STUPEFACENTI E PSICOTROPI La seconda giornata del convegno è cominciata con una bella relazione di Don Mario Picchi di cui riportiamo una parte in questa dizione.
Alla sessione di lavoro riservata alla "prevenzione e dinamica della complessità sociale" ho fatto un intervento anch’io, ma del oltre ottocento persone presenti al mattino una buona parte aveva abbandonato la sala, interessata forse alle belle vie di Genova questo aspetto ha deluso chi, come me, voleva sfruttare ogni momento per capirne di più sui problemi affrontati nel convegno.
Quello che però mi ha proprio disturbato è stato l’intervento del ministro Veronesi che ha richiesto da parte del ministro del solidarietà Livia Turco una fatica enorme per riportare il convegno al tema originario: "Insieme perché l’attenzione non cali".
La banalizzazione del problema droga espressa da Veronesi ha innervosito tutti, eccetto i Pannelliani doc ben rappresentati al convegno, e dopo il rumore da quelle dichiarazioni il suo intervento farà calare sicuramente l’attenzione sul problema delle droghe vecchie e nuove, ottenendo un risultato opposto a quello cui mirava la conferenza.
Nell’intervallo dei lavori sono andato in mezzo ai ragazzi contestatori, un’esperienza singolare che mi ha arricchito sicuramente vedere tutte quelle forze di Polizia e Carabinieri in elegante assetto di guerra ha rappresentato per me un vero e proprio spreco di energie: saranno stati cento ragazzi, forse centocinquanta, (la stampa parlava di duemila) comunque contenuti in un parcheggino A1 porto vecchio di Genova, vicino al "Magazzino del cotone" sede del convegno.
Certo ragazzi con l’aria spesso minacciosa, ma in fondo anche teneri e sprovveduti, tutti presi a sballare e ballare con ritmi scanditi da gigantesche casse messe per l’occasione su camion.
Davvero singolare questo spettacolo, ma anche triste: vedere persone così giovani perse dietro quel suono assordante, bisognosi strafare, di farsi notare per le loro stranezze; i capelli colorati con tagli strani, piercing infilati in tutta la faccia in modo provocatorio forse per dire "io ci sono, guardatemi". Poi per terra, sdraiati mezzi addormentati, fusi dalle canne e dall’alcool appoggiati a sporchi zaini in compagnia di poveri cani, bottiglie vuote di vino e birra accanto.
Io mi sono mescolato con loro, vestito bene, con tanto di pass della conferenza; ho cercato contatto con loro ed è stato facile, si facevano fotografare contenti di essere notati scambiavano con me volentieri delle battute, alcuni si scusavano allargando le braccia e stringendo le spalle, altri mi snobbavano e mi guardavano con sospetto come persona estranea.
Quanto affetto occorreva in quella piazza, quante carezze mancate, quante frustrazioni, quante delusioni trasparivano da quegli guardi languidi, a volte di sfida, a volte imbambolati. Pensavo ai genitori di questi ragazzi alle loro sofferenze mi veniva la voglia di offrirgli delle possibilità Vedere tante persone spegnersi con le canne ed altre droghe non è cosa semplice da digerire.
Poi sono dovuto tornare al congresso e attraversare il cordone della Polizia non è stato facile, non è bastato il mio pass con tanto di nome, ma ho dovuto esibire documenti, dare spiegazioni e solo dopo un bel po’ il comandante ha ordinato di allargare gli scudi di ‘plastica dei giovani poliziotti e ho potuto raggiungere il luogo della conferenza.
Che strana sensazione Giovanni Bigi DALLA RELAZIONE DI Don MARIO PICCHI ALLA CONFERENZA NAZIONALE SULLA DROGA Azioni prioritarie sul tema delle politiche della prevenzione MATURAZIONE PERSONALE DELLE NUOVE GENERAZIONI Occorre progettare e realizzare azioni per incrementare le funzioni educative, nella scuola e in famiglia; azioni volte sia a sostenere l’associazionismo, il volontariato e l’aggregazione giovanile, sia a formare i formatori, insegnanti e genitori, nonché leader di gruppi e associazioni e gestori di locali odi attività di cui i giovani siano protagonisti.
Dobbiamo intervenire per aiutare i giovani e insegnanti ad acquistare una consapevolezza del loro ruolo di protagonisti di una funzione unitaria. I due mondi — scuola e famiglia — sono spesso profondamente separati.
Questa situazione genera grandi disagi nei bambini, oggetto di attenzioni e di cure non coordinate o contrastanti. Bisogna puntare a interventi che realizzino tra scuola e famiglia una vera e propria rete di servizi educativi tra loro coerenti. E un coordinamento efficace degli interventi educativi implica una formazione specifica di insegnanti e genitori.
Quando i bambini crescono, avvertono il bisogno di forme di aggregazione diverse da quelle canoniche.
Il loro spazio di movimento cresce e si estende prima al quartiere e all’intera città o al circondano.
E’ quello il momento in cui gli adulti sono chiamati a incoraggiare il consolidarsi dell’autonomia e dell’indipendenza, e a far sì che l’autonomia si muova verso relazioni positive con sé e con gli altri.
Occorrono azioni che incanalino la voglia di stare insieme verso obiettivi positivi, che favoriscano la nascita di ambienti sereni.
E’ sereno l’ambiente in cui non c’è bisogno di difendersi costantemente perché esistono regole che frenano la prepotenza individuale; e dove il rapporto con l’adulto non è vissuto in modo perennemente conflittuale.
Il filo conduttore è: spostate l’attenzione dei ragazzi dalla relazione con se stessi e col gruppo dei pari, alla relazione con gli altri, con l’ambiente, con il disagio. In tal modo maturerà in loro la consapevolezza di un’appartenenza positiva, all ‘interno della quale esistono strumenti per risolvere le difficoltà, superare i propri limiti e incidere positivamente sulla realtà.
Il gruppo di lavoro della Consulta ha ritenuto che a tal fine debbano essere realizzati luoghi di aggregazione giovanile nel territorio urbano. Servono progetti di integrazione tra istituzioni, agenzie educative, mondo del lavoro.
Abbiamo riportato solo il primo dei cinque ambiti di intervento individuati dalla specifica sessione che si occupava della prevenzione.
Stefania Serboli
Mosaico della prevenzione: capire cosa cambia nello scenario attuale
C’è bisogno di capire cosa cambia nello scenario attuale, sociale, giovanile, cosa cambia riguardo al fenomeno delle dipendenze.
Cosa cambia in noi.
Cosa cambia.
Da tempo in Associazione era avvertita l’esigenza di far chiarezza. Il quadro di riferimento che finora ci aveva aiutato ad orientarsi nel panorama delle dipendenze risultava essere sempre più sfumato.
I ragazzi che facevano uso di sostanze, diversi….. le famiglie che vivevano il problema, diverse. Diverse le motivazioni, le sostanze, gli effetti…. Non definite le fasce di età dei consumatori…. le loro condizioni sociali…..
I dati, frutto di ricerche attendibili, denotavano questo quadro dai confini sfuggenti e dallo scenario contrastante.
Per potersi orientare in questo "labirinto" e ritrovare anche il senso del nostro operare, abbiamo convenuto che occorreva intraprendere noi in prima persona un cammino di formazione, un itinerario di crescita che prevedesse l’approfondimento culturale, il confronto, lo scambio di esperienze.
Occorreva "attrezzarsi", insomma, per mettersi nuovamente "in gioco": Possiamo considerare come prima tappa di questo cammino- che certamente non è concluso, vista la complessità e la vastità del fenomeno - il prezioso rapporto instaurato con il dott. Fabrizio Schifano, che contribuì notevolmente a far chiarezza sulla natura e sugli effetti delle nuove sostanze e aprì uno spiraglio circa gli interventi da mettere in atto sul territorio.
Fu proprio la sua esperienza attuata con positivi risultati nel Sert n° 1 di Padova ad ispirare il Progetto Cala La Luna realizzato in seguito dalla USL 8 Zona Valdarno con la nostra partecipazione (vedi La Finestra n.3/4) Il cammino, dicevamo…..
Proseguendolo si ritrovano i validi momenti di confronto vissuti con i rappresentanti delle istituzioni negli incontri di coordinamento da noi promossi.
E ancora….Gli incontri con i genitori, i giovani, nei corsi di formazione, nelle consuete riunioni del lunedì, nei Circoli, nelle Scuole, nelle Parrocchie…. Le relazioni degli esperti, le letture sull’argomento, sui quotidiani e sulle riviste specializzate….
Proprio da un articolo su Animazione Sociale n. 11, un’altra tappa: l’incontro con il Prof. Marco Ingrosso sul tema Nuove Droghe, Nuove Idee.
Ci fermiamo su questo punto perché ci serve per " tirare il fiato" e riflettere sulle "nuove idee" prospettate dal professore per fronteggiare appunto le "nuove droghe" e per valutare se queste nuove idee sono in linea con la filosofia di fondo che ha accompagnato il nostro cammino.
Ci è sembrato in effetti di trovare una netta unitarietà nelle varie indicazioni considerate, come se le tante vie intraprese e solcate avessero trovato finalmente una via maestra, larga, da percorrere in più soggetti verso un’unica meta: la prevenzione.
Ma ecco le linee programmatiche per attivare una prevenzione che abbia qualche possibilità di successo. Attivare un lavoro di rete fra reti già presenti nel territorio (scuole, oratori, scuole guida, medici, farmacisti, scout, soc. sportive, servizi sanitari, associazioni, parrocchie) Moltiplicare gli interventi valorizzando le diverse competenze per costruire il mosaico della prevenzione, una prevenzione nuova, larga, pensata ed attuata su più fronti.
Responsabilizzare la città sul suo ruolo educativo formativo.
Far tesoro dei progetti esistenti e lavorare per integrarli e coordinarli. Ci piace riprendere l’immagine del mosaico per chiudere queste nostre riflessioni. Un mosaico: alcuni pezzi tornano, altri devono ancora trovare l’incastro; mosaico formato da innumerevoli tessere che hanno bisogno di più mani per armonizzarsi, mani discrete, delicate ma anche ferme, sicure, competenti….. Mani che s’aiutano….. Forse così lo completeremo. Vogliamo sognarne anche la raffigurazione.
Ci vediamo l’immagine di tanti giovani, innamorati della vita, immersi in una città viva, proiettata verso il suo domani. Gruppo Studi e Organizzazione Un accenno alla relazione della Dott.ssa Donata Francescato durante l’incontro promosso dalla USL 8 per la illustrazione dei dati sul Progetto Cala la Luna, perché reputiamo la sua tesi perfettamente in linea con quanto esposto.
Riferendosi alla prevenzione nei riguardi del disagio e delle dipendenze, ha infatti sostenuto che tutta la Città si deve far carico della responsabilità educativa verso i giovani.
Nella citta’ educante da lei prospettata si rispeccchia quel lavoro di rete che abbiamo delineato. I tempi sono dunque maturi per operare in questo senso.
Giovanni Bigi
Un saluto da Valentina: 21 dicembre in Associazione
Lunedì 21 Dicembre, in Associazione, ci siamo scambiati gli auguri.
Famiglie di ieri e di oggi si sono ritrovate ed hanno condiviso un caloroso momento di incontro. Valentina non era presente perché influenzata, ci èstata comunque vicina con questo messaggio.
"Mi dispiace molto di non essere lì con voi questa sera, anche perché non ho nella mia vita la possibilità di festeggiare qualcosa in mezzo ad una grande famiglia.
Approfitto però per dire che il Natale occidentale è ormai svuotato di ogni riferimento al sacro, è una festa come tante altre, sterile e commerciale. Tra cenoni e viaggi esotici, abiti luccicanti e paure millenaristiche il nostro Natale e 31 Dicembre sembrano aver perso ogni connotazione simbolica.
La maggior parte delle persone festeggia senza coglierne il significato profondo, senza rendersi conto di essere protagonista di una grande recita sociale.
E sicuramente questa è una gran perdita. Detto questo, faccio tantissimi veri e sentiti auguri a tutti e ringrazio questa GRANDE FAMIGLIA.. Infine, ma non per importanza perché occupa il posto più caldo del mio cuore, voglio ringraziare mia mamma.
So che le ho dato ben poche soddisfazioni, ma a volte sui figli incombono aspettative molto alte, perché rappresentano in qualche modo il capolavoro dell’esistenza della madre o del padre o di entrambi, e non individui a sé.
E comunque, mamma, la tua non è una sconfitta, occorre accettare che quello che succede ai nostri cari non dipende da noi e che può comunque accadere malgrado il nostro impegno. Un bacio ed un abbraccio a tutti. Vi voglio bene."
Gruppo Segreteria
Prevenire e recuperare:
chi sono questi ragazzi da recuperare?
Perché sono da recuperare?
Come fare? Sono ragazzi e giovani che hanno una sensibilità e delle caratteristiche fuori dalla norma, che hanno la capacità di vivere delle emozioni più forti degli altri.
L’educazione di un ragazzo non dipende solo dalla famiglia, che certamente ne è la prima responsabile, ma anche dalla scuola e da tutti gli ambienti in cui vive il ragazzo.
Gli educatori dei giovani siamo tutti noi, mondo degli adulti.
Dovremmo essere genitori ed educatori non solo a casa, ma anche nel lavoro, al bar, in ufficio, a scuola. I genitori di oggi non possono trasmettere ai propri figli l’esperienza che hanno ricevuto dai loro genitori, perché in venti/trenta anni è avvenuto un processo vorticoso, che ha cambiato tante cose nella società.
Si trovano disorientati, a volte incapaci e provano sensi di colpa nei confronti dei figli.
Le donne hanno cominciato a lavorare, in casa si sta tutti meno. Per compensare una mancanza di presenza, siamo passati ad un modo di educare blando che ci spinge a dare, continuamente dare, più del necessario.
Siamo diventati superprotettivi, non si lascia ai ragazzi neanche il gusto di chiedere e di provare la fatica di crescere. I figli si sono trovati comodi, troppo comodi, non sono stati abituati a "guadagnarsi il pane".
Il ragazzo deve portare da sé i propri pesi e affrontare i propri doveri, altrimenti è incapace di far fronte alle difficoltà. Bisogna saper chiedere ai figli di attivare le proprie risorse interiori, le loro energie e non solo per se stessi, ma per fare piccoli servizi in casa, rimettere a posto le cose, accorgersi di chi ha necessità del nostro aiuto, darsi da fare per gli altri.
Così non crescerebbero insipidi e fiacchi, fuori dalla realtà; non si sentirebbero loro al centro di tutte le attenzioni e affronterebbero più facilmente le tensioni e i disagi, caratteristici dei giovani di oggi.
Il disagio più grande è quello di non piacersi. Il giovane non si sente al pari degli altri, si trova dei difetti anche se non ne ha e questo si trasforma in una sofferenza, in un disagio.
Non è poi un male, perché in qualche modo è importante soffrire. Il problema quando il disagio diventa pesante, di secondo livello, produce una vera sofferenza e fa stare male.
Se non si riesce a reagire, si arriva a chiudersi, ad isolarsi, a non andare più con gli amici. Chi non si sente più adeguato alle circostanze, se non è abituato a vivere il dolore interiore, chiede aiuto alle sostanze, alle "canne".
Le canne sono devastanti, perché sono anestetizzanti, ma come calmano l’angoscia, la sofferenza, soffocano anche le energie positive del giovane, alterano il suo stato psicologico.
La realtà è che: uno legge, ma poi non si ricorda e rimanda tutto al domani.
Si comincia ad andare male a scuola, a giocare male la partita.
Il ragazzo trova delle scuse, che in qualche modo vengono accettate dai genitori e anche dagli insegnanti. Questo è il primo stadio, il più devastante, perché non permette di fare delle esperienze di vita, proprie dell’età giovanile.
Con il tempo i ragazzi abbandonano la scuola. Continuano a farsi le canne e purtroppo cresce in loro l’apatia, l’imbambolamento e l’inerzia che facilmente li portano a far uso anche delle pasticche di "ecstasy", che fanno stare su, in sintonia con gli altri.
Si cerca lo "sballo" in discoteca e si balla per delle ore, senza parlare con gli altri o scambiarsi gesti di affetto, Poi il lunedì arrivano i dolori, i musi lunghi, nervosismo ed ancora canne per sopportare e non sentire.
Da qui alle altre droghe il passaggio è facile.
Subentra la disistima di sé, il bisogno di provare emozioni forti, la voglia di fare cose straordinarie: passare con il semaforo rosso, tirare i sassi, fare le risse per le risse, senza mai riflettere e senza un briciolo di sentimento. Per recuperare che fare? Non è facile, ma non è impossibile.
Nel territorio esistono i problemi, ma anche le risorse. Non illudiamoci di riuscirci da soli: sarebbe un recupero a metà con alti e bassi. Fin dall’antichità si usava guardarsi allo specchio.
Oggi per sapere chi siamo, bisogna specchiarsi negli altri. Noi siamo quelli che gli altri ci vedono. L’unico modo per conoscersi in profondità è affrontarsi con gli altri, guardarsi in faccia come siamo, senza trucchi, senza recitare un copione.
Imparare a conoscersi per accettarsi, ricominciare a crescere gradatamente.
Dividere i problemi dà una sensazione di benessere. "Mettere in comune": l’ha inventato San Paolo che metteva la gente in cerchio per mettere le cose in comune. "Impicciarsi" delle cose degli altri, per comprendersi.
Allora si riprende la fiducia in se stessi e si comincia a vivere. E’ necessario l’affetto dei genitori che aiuta il giovane a vivere questo importante momento.
C’è bisogno di fare un cammino anche da parte della famiglia.
I gruppi dell’Associazione operano in questo senso. Ci sono gruppi di genitori che vivono il cambiamento del ragazzo, il suo percorso, la sua evoluzione. Insieme a quelli dei genitori ci sono anche i gruppi dei ragazzi che, stando insieme, ritrovano la voglia di vivere, di sognare, di provare le vere emozioni naturali, di andare avanti, affrontando le difficoltà.
Giovanni Bigi
L'ascolto ed il confronto nel lavoro di gruppo per educare i figli
Che dire! Quando mi trovo di fronte ad un lavoro svolto da persone che hanno trasmesso passione in me nasce un grande rispetto perché credo che mettersi in qualche modo in discussione, cercare di scambiarsi opinioni legate al proprio vissuto, al proprio modo di essere, sia una questione davvero importante, la via maestra per rimuovere i problemi.
Nel gruppo i genitori hanno l’opportunità fondamentale di scambiare le proprie sensazioni e di trovarsi nella situazione meravigliosa di essere ascoltati; un’impostazione che nei nostri gruppi è diventata prassi.
Quando una persona parla, gli altri ascoltano.
Sembra una banalità, in realtà è un aspetto fondamentale che bene introduce a percepire in modo approfondito l’argomento oggetto della discussione.
Questa sensazione è particolarissima, perché dà modo appunto di prendere su di sé questioni, emozioni e tensioni di altri, non tanto per condividerle e riprodurle – non è necessario -, ma semplicemente per ascoltarle e viverle come momento di riflessione.
Don Ivan un grande prete, un prete che non aveva paura di sporcarsi le mani, ci diceva: “Quando ci sono delle cose da fare…’Facciamole!!’ ma soprattutto impariamo ad ascoltare”. Questo stile, che lui ci ha un po’ trasmesso, fa parte del nostro modo di lavorare; questa capacità di ascoltare è un nodo importante anzi essenziale.
Siamo noi genitori capaci di non interrompere il parlare di nostro figlio dopo le prime cinque parole? Spesso lo si interrompe dopo le prime tre parole e ancor più spesso si dicono cose come “Ma lo vuoi dire a me, che sono adulto?” e si brucia con questo l’opportunità fondamentale ed importantissima dell’ascolto.
Eppure noi dobbiamo dar loro questa possibilità e i nostri ragazzi devono poter cogliere questa opportunità, altrimenti la nostra diventa una relazione gerarchica tra persone che non stanno sullo stesso piano, che ci fa sentire forse molto autorevoli, ma non consente di sviluppare la capacità di ascoltare realmente i nostri figli.
Credo che questo primo punto debba essere approfondito sviluppato bene perché è da questo che nascono equilibrio, schiettezza, responsabilità, lealtà, tutte capacità che vengono invece offuscate da atteggiamenti eccessivamente inquisitori. Aggiungerei anche l’opportunità di cambiare le rituali domande come, “Che hai fatto!”, “Dove sei stato!” “Con chi sei stato!” , con una molto più importante: “Come stai?” ed enfatizzare quel punto interrogativo.
E’ fondamentale porre sempre un punto interrogativo chiaro alle domande che rivolgiamo ai nostri ragazzi per evitare l’insorgere di conflittualità inutili: voglio dire, è fondamentale porre delle domande aperte che permettano la discussione, il fluire del dire, del consultarsi anche con la famiglia. Domande aperte! Sembra una banalità, ma in realtà il rapporto con i figli cambia in modo fondamentale se sostituiamo una domanda aperta con il punto interrogativo ad una domanda chiusa col punto esclamativo.
Metteteci sempre il punto interrogativo, a qualsiasi età, a qualsiasi punto dell’evoluzione dei vostri figli, in qualunque periodo essi si trovino. Vorrei inoltre tanto chiarire un ulteriore concetto fondamentale; che si passi dall’astrattezza dell’ansia ad una concreta modalità di intervento. Noi manifestiamo sempre preoccupazione per i nostri figli: questo preoccuparsi diventa in genere l’assillo continuo dei genitori, delle persone adulte, degli insegnanti e spesso anche del prete.”Preoccuparsi!”.
Io vorrei, invece, che mentalmente, ma anche fisicamente, si cancellasse quel pre davanti e si smetteste di pre-occuparci per occuparci dei nostri figli. Se si continua a preoccuparci invece che occuparci dei nostri figli, nascono spontanei sentimenti come tensione, ansia e sofferenza e quando uno porta in sé dell’ansia, porta in sé dell’insicurezza.
L’ansia nasce da molta insicurezza e quindi ha in sé questa sensazione di sofferenza e di angoscia.
Il ragazzo è fuori di casa e non lo sa, ma per chi vive l’ansia è come se egli fuori di casa corra continui pericoli, rischi incidenti o faccia chi sa quali cose, abbia chissà quali atteggiamenti. Chi vive l’ansia porta in sé questa sofferenza ed è una sofferenza reale, vera che squalifica il piacere della vita. Non è una sofferenza momentanea che cala e svanisce nel momento in cui il figlio torna a casa; no, è una sofferenza reale e continua che l’ansia di per sé porta e mantiene.
L’ansia nasce quindi sia dall’insicurezza, sia dall’eccessiva preoccupazione. Smettiamola dunque di preoccuparci eccessivamente dei nostri figli e diamo loro l’opportunità di affrontare anche le difficoltà, perché l’ansia è la via maestra per mettere in condizione di disagio i nostri ragazzi, perché mentre manifestiamo ansia la trasmettiamo e riversiamo sui nostri ragazzi quintali di insicurezza in quantità industriale! Finisce che il ragazzo perde la poca o tanta sicurezza che portava in sé e diventa anch’esso ansioso ed insicuro, perché la sicurezza appunto la si acquista durando fatica e guadagnandosi le cose non rinunciandovi per timore. I nostri ragazzi devono durare fatica.
Non si può avere un atteggiamento iperprotettivo “perché è mio figlio!” Ma certo, tutti siamo stati figli, ma se questo atteggiamento iperprotettivo diventa eccessivo, si tolgono quelle opportunità necessarie per acquisire esperienza e per formarsi. Abbandoniamo quindi questi atteggiamenti iperprotettivi e supercoccoloni, che non riguardano l’affetto! L’affettività è un’altra cosa.
Qui si tratta veramente di mettere in condizione i nostri ragazzi di poter lavorare e di guadagnarsi le cose. “Non esiste pasto gratis per nessuno, mai!”. La scuola è il lavoro dei nostri ragazzi. Quindi bisogna andare bene a scuola e bisogna studiare, altro che storie! Non si possono trovare scuse: “Ma io… ma il professore…”. No!
A scuola si va per imparare e si deve studiare, perché questo è il lavoro di un ragazzo che va a scuola, senza ombra di dubbio.
Più tardi ci si guadagna il pane formando una famiglia, ci si guadagna il pane lavorando; poi, da vecchi, ci si guadagna il pane non facendo uggia ai giovani. Allora, ritornando al discorso dell’ansia e della iperprotezione, è fondamentale avere un atteggiamento di autorevolezza da parte dei genitori che troppo spesso si autosqualificano.
Queste mamme che si alzano la mattina, lavorano, fanno duemila cose, spesso si … autosqualificano. Dimenticano che il loro è un lavoro impegnativo, importante, per il quale non ci si può permettere il lusso di considerarsi inadatti, perché lo fanno in buona fede, fanno del loro meglio! Dunque guai a quei genitori che in casa fanno gli psicologi, non c’è bisogno di andare a cercare nei meandri dei ragazzi, si fanno solo dei pasticci.
I principi si trasmettono ai nostri ragazzi proprio con quell’alzarsi presto la mattina, con quel fare le faccende così banalizzate ma così importanti, con quell’andare a lavorare, quel guadagnarsi il pane.
È quello il modo di trasmettere impegno e serietà. Questa sorta di ansia e di insicurezza che si trasmette con i tanti interrogativi è tutta roba inutile che non fa altro che alimentare sensazioni di insicurezza, incertezza e paura; malattie che si trasmettono molto di più dell’influenza, più del raffreddore. Non possiamo pretendere che dei ragazzi siano in grado e in condizione di metabolizzare l’incertezza degli adulti e le loro difficoltà.
Giovanni Bigi