Prevenire e recuperare:

chi sono questi ragazzi da recuperare?

Perché sono da recuperare?

Come fare? Sono ragazzi e giovani che hanno una sensibilità e delle caratteristiche fuori dalla norma, che hanno la capacità di vivere delle emozioni più forti degli altri.

L’educazione di un ragazzo non dipende solo dalla famiglia, che certamente ne è la prima responsabile, ma anche dalla scuola e da tutti gli ambienti in cui vive il ragazzo.

Gli educatori dei giovani siamo tutti noi, mondo degli adulti.

Dovremmo essere genitori ed educatori non solo a casa, ma anche nel lavoro, al bar, in ufficio, a scuola. I genitori di oggi non possono trasmettere ai propri figli l’esperienza che hanno ricevuto dai loro genitori, perché in venti/trenta anni è avvenuto un processo vorticoso, che ha cambiato tante cose nella società.

Si trovano disorientati, a volte incapaci e provano sensi di colpa nei confronti dei figli.

Le donne hanno cominciato a lavorare, in casa si sta tutti meno. Per compensare una mancanza di presenza, siamo passati ad un modo di educare blando che ci spinge a dare, continuamente dare, più del necessario.

Siamo diventati superprotettivi, non si lascia ai ragazzi neanche il gusto di chiedere e di provare la fatica di crescere. I figli si sono trovati comodi, troppo comodi, non sono stati abituati a "guadagnarsi il pane".

Il ragazzo deve portare da sé i propri pesi e affrontare i propri doveri, altrimenti è incapace di far fronte alle difficoltà. Bisogna saper chiedere ai figli di attivare le proprie risorse interiori, le loro energie e non solo per se stessi, ma per fare piccoli servizi in casa, rimettere a posto le cose, accorgersi di chi ha necessità del nostro aiuto, darsi da fare per gli altri.

Così non crescerebbero insipidi e fiacchi, fuori dalla realtà; non si sentirebbero loro al centro di tutte le attenzioni e affronterebbero più facilmente le tensioni e i disagi, caratteristici dei giovani di oggi.

Il disagio più grande è quello di non piacersi. Il giovane non si sente al pari degli altri, si trova dei difetti anche se non ne ha e questo si trasforma in una sofferenza, in un disagio.

Non è poi un male, perché in qualche modo è importante soffrire. Il problema quando il disagio diventa pesante, di secondo livello, produce una vera sofferenza e fa stare male.

Se non si riesce a reagire, si arriva a chiudersi, ad isolarsi, a non andare più con gli amici. Chi non si sente più adeguato alle circostanze, se non è abituato a vivere il dolore interiore, chiede aiuto alle sostanze, alle "canne".

Le canne sono devastanti, perché sono anestetizzanti, ma come calmano l’angoscia, la sofferenza, soffocano anche le energie positive del giovane, alterano il suo stato psicologico.

La realtà è che: uno legge, ma poi non si ricorda e rimanda tutto al domani.

Si comincia ad andare male a scuola, a giocare male la partita.

Il ragazzo trova delle scuse, che in qualche modo vengono accettate dai genitori e anche dagli insegnanti. Questo è il primo stadio, il più devastante, perché non permette di fare delle esperienze di vita, proprie dell’età giovanile.

Con il tempo i ragazzi abbandonano la scuola. Continuano a farsi le canne e purtroppo cresce in loro l’apatia, l’imbambolamento e l’inerzia che facilmente li portano a far uso anche delle pasticche di "ecstasy", che fanno stare su, in sintonia con gli altri.

Si cerca lo "sballo" in discoteca e si balla per delle ore, senza parlare con gli altri o scambiarsi gesti di affetto, Poi il lunedì arrivano i dolori, i musi lunghi, nervosismo ed ancora canne per sopportare e non sentire.

Da qui alle altre droghe il passaggio è facile.

Subentra la disistima di sé, il bisogno di provare emozioni forti, la voglia di fare cose straordinarie: passare con il semaforo rosso, tirare i sassi, fare le risse per le risse, senza mai riflettere e senza un briciolo di sentimento. Per recuperare che fare? Non è facile, ma non è impossibile.

Nel territorio esistono i problemi, ma anche le risorse. Non illudiamoci di riuscirci da soli: sarebbe un recupero a metà con alti e bassi. Fin dall’antichità si usava guardarsi allo specchio.

Oggi per sapere chi siamo, bisogna specchiarsi negli altri. Noi siamo quelli che gli altri ci vedono. L’unico modo per conoscersi in profondità è affrontarsi con gli altri, guardarsi in faccia come siamo, senza trucchi, senza recitare un copione.

Imparare a conoscersi per accettarsi, ricominciare a crescere gradatamente.

Dividere i problemi dà una sensazione di benessere. "Mettere in comune": l’ha inventato San Paolo che metteva la gente in cerchio per mettere le cose in comune. "Impicciarsi" delle cose degli altri, per comprendersi.

Allora si riprende la fiducia in se stessi e si comincia a vivere. E’ necessario l’affetto dei genitori che aiuta il giovane a vivere questo importante momento.

C’è bisogno di fare un cammino anche da parte della famiglia.

I gruppi dell’Associazione operano in questo senso. Ci sono gruppi di genitori che vivono il cambiamento del ragazzo, il suo percorso, la sua evoluzione. Insieme a quelli dei genitori ci sono anche i gruppi dei ragazzi che, stando insieme, ritrovano la voglia di vivere, di sognare, di provare le vere emozioni naturali, di andare avanti, affrontando le difficoltà.


Giovanni Bigi

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