L'ascolto ed il confronto nel lavoro di gruppo per educare i figli

Che dire! Quando mi trovo di fronte ad un lavoro svolto da persone che hanno trasmesso passione in me nasce un grande rispetto perché credo che mettersi in qualche modo in discussione, cercare di scambiarsi opinioni legate al proprio vissuto, al proprio modo di essere, sia una questione davvero importante, la via maestra per rimuovere i problemi.

Nel gruppo i genitori hanno l’opportunità fondamentale di scambiare le proprie sensazioni e di trovarsi nella situazione meravigliosa di essere ascoltati; un’impostazione che nei nostri gruppi è diventata prassi.

Quando una persona parla, gli altri ascoltano.

Sembra una banalità, in realtà è un aspetto fondamentale che bene introduce a percepire in modo approfondito l’argomento oggetto della discussione.

Questa sensazione è particolarissima, perché dà modo appunto di prendere su di sé questioni, emozioni e tensioni di altri, non tanto per condividerle e riprodurle – non è necessario -, ma semplicemente per ascoltarle e viverle come momento di riflessione.

Don Ivan un grande prete, un prete che non aveva paura di sporcarsi le mani, ci diceva: “Quando ci sono delle cose da fare…’Facciamole!!’ ma soprattutto impariamo ad ascoltare”. Questo stile, che lui ci ha un po’ trasmesso, fa parte del nostro modo di lavorare; questa capacità di ascoltare è un nodo importante anzi essenziale.

Siamo noi genitori capaci di non interrompere il parlare di nostro figlio dopo le prime cinque parole? Spesso lo si interrompe dopo le prime tre parole e ancor più spesso si dicono cose come “Ma lo vuoi dire a me, che sono adulto?” e si brucia con questo l’opportunità fondamentale ed importantissima dell’ascolto.

Eppure noi dobbiamo dar loro questa possibilità e i nostri ragazzi devono poter cogliere questa opportunità, altrimenti la nostra diventa una relazione gerarchica tra persone che non stanno sullo stesso piano, che ci fa sentire forse molto autorevoli, ma non consente di sviluppare la capacità di ascoltare realmente i nostri figli.

Credo che questo primo punto debba essere approfondito sviluppato bene perché è da questo che nascono equilibrio, schiettezza, responsabilità, lealtà, tutte capacità che vengono invece offuscate da atteggiamenti eccessivamente inquisitori. Aggiungerei anche l’opportunità di cambiare le rituali domande come, “Che hai fatto!”, “Dove sei stato!” “Con chi sei stato!” , con una molto più importante: “Come stai?” ed enfatizzare quel punto interrogativo.

E’ fondamentale porre sempre un punto interrogativo chiaro alle domande che rivolgiamo ai nostri ragazzi per evitare l’insorgere di conflittualità inutili: voglio dire, è fondamentale porre delle domande aperte che permettano la discussione, il fluire del dire, del consultarsi anche con la famiglia. Domande aperte! Sembra una banalità, ma in realtà il rapporto con i figli cambia in modo fondamentale se sostituiamo una domanda aperta con il punto interrogativo ad una domanda chiusa col punto esclamativo.

Metteteci sempre il punto interrogativo, a qualsiasi età, a qualsiasi punto dell’evoluzione dei vostri figli, in qualunque periodo essi si trovino. Vorrei inoltre tanto chiarire un ulteriore concetto fondamentale; che si passi dall’astrattezza dell’ansia ad una concreta modalità di intervento. Noi manifestiamo sempre preoccupazione per i nostri figli: questo preoccuparsi diventa in genere l’assillo continuo dei genitori, delle persone adulte, degli insegnanti e spesso anche del prete.”Preoccuparsi!”.

Io vorrei, invece, che mentalmente, ma anche fisicamente, si cancellasse quel pre davanti e si smetteste di pre-occuparci per occuparci dei nostri figli. Se si continua a preoccuparci invece che occuparci dei nostri figli, nascono spontanei sentimenti come tensione, ansia e sofferenza e quando uno porta in sé dell’ansia, porta in sé dell’insicurezza.

L’ansia nasce da molta insicurezza e quindi ha in sé questa sensazione di sofferenza e di angoscia.

Il ragazzo è fuori di casa e non lo sa, ma per chi vive l’ansia è come se egli fuori di casa corra continui pericoli, rischi incidenti o faccia chi sa quali cose, abbia chissà quali atteggiamenti. Chi vive l’ansia porta in sé questa sofferenza ed è una sofferenza reale, vera che squalifica il piacere della vita. Non è una sofferenza momentanea che cala e svanisce nel momento in cui il figlio torna a casa; no, è una sofferenza reale e continua che l’ansia di per sé porta e mantiene.

L’ansia nasce quindi sia dall’insicurezza, sia dall’eccessiva preoccupazione. Smettiamola dunque di preoccuparci eccessivamente dei nostri figli e diamo loro l’opportunità di affrontare anche le difficoltà, perché l’ansia è la via maestra per mettere in condizione di disagio i nostri ragazzi, perché mentre manifestiamo ansia la trasmettiamo e riversiamo sui nostri ragazzi quintali di insicurezza in quantità industriale! Finisce che il ragazzo perde la poca o tanta sicurezza che portava in sé e diventa anch’esso ansioso ed insicuro, perché la sicurezza appunto la si acquista durando fatica e guadagnandosi le cose non rinunciandovi per timore. I nostri ragazzi devono durare fatica.

Non si può avere un atteggiamento iperprotettivo “perché è mio figlio!” Ma certo, tutti siamo stati figli, ma se questo atteggiamento iperprotettivo diventa eccessivo, si tolgono quelle opportunità necessarie per acquisire esperienza e per formarsi. Abbandoniamo quindi questi atteggiamenti iperprotettivi e supercoccoloni, che non riguardano l’affetto! L’affettività è un’altra cosa.

Qui si tratta veramente di mettere in condizione i nostri ragazzi di poter lavorare e di guadagnarsi le cose. “Non esiste pasto gratis per nessuno, mai!”. La scuola è il lavoro dei nostri ragazzi. Quindi bisogna andare bene a scuola e bisogna studiare, altro che storie! Non si possono trovare scuse: “Ma io… ma il professore…”. No!

A scuola si va per imparare e si deve studiare, perché questo è il lavoro di un ragazzo che va a scuola, senza ombra di dubbio.

Più tardi ci si guadagna il pane formando una famiglia, ci si guadagna il pane lavorando; poi, da vecchi, ci si guadagna il pane non facendo uggia ai giovani. Allora, ritornando al discorso dell’ansia e della iperprotezione, è fondamentale avere un atteggiamento di autorevolezza da parte dei genitori che troppo spesso si autosqualificano.

Queste mamme che si alzano la mattina, lavorano, fanno duemila cose, spesso si … autosqualificano. Dimenticano che il loro è un lavoro impegnativo, importante, per il quale non ci si può permettere il lusso di considerarsi inadatti, perché lo fanno in buona fede, fanno del loro meglio! Dunque guai a quei genitori che in casa fanno gli psicologi, non c’è bisogno di andare a cercare nei meandri dei ragazzi, si fanno solo dei pasticci.

I principi si trasmettono ai nostri ragazzi proprio con quell’alzarsi presto la mattina, con quel fare le faccende così banalizzate ma così importanti, con quell’andare a lavorare, quel guadagnarsi il pane.

È quello il modo di trasmettere impegno e serietà. Questa sorta di ansia e di insicurezza che si trasmette con i tanti interrogativi è tutta roba inutile che non fa altro che alimentare sensazioni di insicurezza, incertezza e paura; malattie che si trasmettono molto di più dell’influenza, più del raffreddore. Non possiamo pretendere che dei ragazzi siano in grado e in condizione di metabolizzare l’incertezza degli adulti e le loro difficoltà.


Giovanni Bigi

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